Cenni storici

Un elemento importante del quartiere è la chiesa parrocchiale, costruita alla fine degli anni venti, è dedicata a Santa Teresa del Bambino Gesù. Il complesso, caratterizzato anche dalla presenza dell’oratorio, dell’asilo e di sale parrocchiali, caratterizza ancora oggi la vita sociale degli abitanti di Gorla. Fu voluta dal parroco Don Paolo Locatelli, che oggi riposa all’interno della Chiesa stessa.

Don Paolo Locatelli, Parroco

E’ del 27 marzo 1919 una lettera inviata dal Vicario per conto di S. Eminenza il Vescovo in cui s’incaricava Don Paolo Locatelli, Parroco di Gorla, a recarsi a Gorla Primo per prendersi cura delle necessità spirituali dei fedeli e, nello stesso tempo, prendere visione del territorio da tramutarsi in nuova circoscrizione parrocchiale. Lettera del Vicario Generale, Curia Arcivescovile di Milano, Milano 5 aprile 1919 inviata al Parroco di Turro per conto di S. Eminenza: “Al M. Rev. Prevosto Parroco di Turro Milanese. Come la S.V. non ignora, è intendimento di S. Em. Il Sig. Card. Arcivescovo di provvedere alle reclamate necessità spirituali dei fedeli mediante l’aggregazione alla chiesa, per quanto assai piccola, di S. Bartolomeo, ora sussidiaria di codesta parrocchiale, nel luogo di Gorla Primo, di un determinato territorio, da tramutarsi a suo tempo in nuova circoscrizione parrocchiale, e per intanto da omettersi alla sua immediata giurisdizione, nella consueta forma di delegazione Arcivescovile”.

L’arredo religioso della Chiesetta di San Bartolomeo

Gorla, la Chiesetta di San Bartolomeo fu decorata dal pittore Emilio Griffino in occasione della Festa del Sacro Cuore di Gesù (18 luglio 1920). In quel giorno, alla presenza dei terziari francescani, delle Figlie di Maria, dei figlioli dell’oratorio maschile e femminile e dei soci della Lega di Perseveranza, venne inaugurato il paramento rosso eseguito dal Signor Savelli Saturnino. Il 28 agosto 1920 un pio offerente donò una nuova Via Crucis. Il lavoro fu eseguito dalla Ditta Cardini.; alla sera i fuochi d’artificio conclusero l’epica giornata di festa.

La posizione del Delegato Arcivescovile

Al suo ritorno in Curia, dopo la sua visita a Gorla in occasione delle S. Quarantore e la celebrazione della S. Messa della Comunione Generale (8 gennaio 1922), l’Arcivescovo di Milano, impressionato dal numero di fedeli che in quella mattina si erano comunicati e anche dalle attuali condizioni del Delegato Arcivescovile privo di una propria casa parrocchiale, mostrò il desiderio di riparlare con alcuni signori di Gorla per sistemare la posizione del Delegato Arcivescovile. Furono ricevuti il 10 gennaio in Episcopio e con loro trattò di dare buona uscita in denari al Sig. Carlo Farina, residente nella villetta sita in Via Aristotele 2 perché la lasciasse abitare al Delegato Arcivescovile. Le pratiche furono interrotte perché 15 giorni dopo l’Arcivescovo si recò a Roma in Conclave per la morte di Benedetto XV per uscirne il 6 febbraio di quello stesso anno Papa Pio XI.

L’udienza a Roma

Fu allora che il delegato Arcivescovile Don Paolo Locatelli si decise a partire per Roma onde trattare direttamente col Pontefice la questione della casa. Partì la sera del 20 febbraio e il 24 ebbe udienza presso il Sommo Pontefice dal quale fu accolto cordialmente e rassicurato sul suo appoggio con una offerta di £ 12.000 perché si iniziasse la costruzione della nuova casa parrocchiale.

LA CHIESA NUOVA

Il progetto della nuova chiesa

Nell’aprile di quell’anno l’Ingegnere Fausto Strada, pregato da Monsignor Rossi Giovanni allora Vicario Generale, stese il progetto che affidato poi per l’esecuzione ai Fratelli Seregni di Greco Milanese. I lavori furono fatti in economia con l’assistenza dell’Ingegnere Strada e del Geometra Colombo. I lavori di scavo iniziarono il 1 maggio 1922 coadiuvati da ben 40 uomini e giovani delle associazioni gorlesi. La casa venne ultimata in ottobre e inaugurata il 29 nel cortile dell’oratorio. Si fece anche una pesca di beneficenza che fruttò £ 2.500. Per coprire le spese della casa, circa £ 140.000, si distribuirono delle azioni al 5% di interesse annuo, rimborsabili al termine del 1932.

La nuova casa parrocchiale

La Parrocchia ebbe così la sua casa parrocchiale e le associazioni cattoliche una sala per i ritrovi sociali e le conferenze religiose. A lavori ultimati si iniziarono pure quelli di costruzione del muro di cinta del terreno di proprietà del Rev. Don Paolo Locatelli e della Sorella Maria, acquistato dall’Opera Pia Finzi dell’Istituo dei Rachitici. Si costruì pure un portichetto per il ricovero delle ragazze, l’oratorio femminile (1923) e un locale ad uso cancelleria. Al momento dell’annessione al territorio milanese nel 1923 della località di Gorla Primo, sede di Comune Autonomo, il territorio della Parrocchia, che già apparteneva alla Pieve di Bruzzano (Vicariato foraneo di Sesto San Giovanni), venne aggregato nel 1928 alla prima circoscrizione territoriale cittadina di Porta Orientale con Porta Tosa e Monforte. Come giurisdizione ecclesiastica continuò ad appartenere alla Parrocchia di S. Maria Assunta in Turro alla quale toccava di provvedere all’assistenza religiosa della popolazione di Gorla.

La Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù

Il 29 novembre 1925 Mons. Giovanni Rossi poneva la prima pietra del nuovo tempio. “Tale territorio sarà quello, per cui la S.V. ha convenuto stamane in questa Curia, in confronto col Rev.mo Mons. Avvocato Generale incaricato della pratica e cioè, in confronto con Turro, con separazione a mezzo di linea, la quale, da est a ovest, è rappresentata dalla via della Torre in tangenza coi confini del comune di Gorla Primo, dal traverso di viale Monza, del cosiddetto Fontanone; in ogni altra parte dai confini comunali di Gorla Primo e, come meglio potrà essere precisato in ispeciale tipo planimetrico da unirsi alla pratica”. I lavori, iniziati nel gennaio del 1927 in una fredda notte di Natale, aprirono la strada della Prepositurale che verrà elevata a Parrocchia dal Cardinale Eugenio Tosi in occasione delle SS. Quarantore (gennaio, 1928).

La grazia della guarigione

La realizzazione della chiesa sembrò svanire quando una grave malattia colpì Don Paolo Locatelli. Solo a guarigione avvenuta Don Locatelli riprese con vigore il disegno dell’edificazione della nuova chiesa che volle dedicare a Santa Teresa cui si era rivolto per ottenere la grazia della guarigione.

Un po’ di storia….. gli Inizi e la Chiesa attuale

Si ha notizia che sin dai primi decenni del 1600 le Autorità Ecclesiastiche, preoccupate per la sicurezza dei fedeli costretti ad attraversare il Naviglio Martesana “non essendoci ponte fermo et comodo” per recarsi alla Parrocchiale di Turro, iniziarono ad occuparsi dell’Oratorio di San Bartolomeo.
Fu un certo Bartolomeo Banfi a chiedere di potere erigere un Oratorio per supplire alla mancanza della Chiesa Parrocchiale.
Federico Borromeo approvò il progetto di Giovanni Battista Guidabombarda con atto notarile del 26 marzo 1630 la cui costruzione fu benedetta il 23 agosto 1633.
In anni successivi vi è traccia di un oratorio dedicato a San Bartolomeo.
Giungendo sino a tempi più recenti troviamo ancora intatta una vecchia chiesetta dedicata a San Bartolomeo in cui, abbattuto ed arretrato l’ingresso, si mantiene pressoché integra la torretta campanaria ancora ornata di campanelle.
La vecchia chiesetta è ora adibita a Biblioteca e sede di alcune attività parrocchiali. Nel gennaio 1922 l’Arcivescovo di Milano Cardinale Achille Ratti (poi Papa Pio XI) visitando Gorla in occasione delle S. Quarantore si rese conto del numero di fedeli che per l’occasione si erano comunicati e della necessità di ampliare gli edifici destinati alla casa parrocchiale.
I lavori iniziarono il 1 maggio dello stesso anno su disegni dell’architetto Fausto Strada ed eseguiti dai fratelli Seregni di Greco Milanese.
Nel 1928 Gorla Primo, sede di comune autonomo, fu annessa al territorio milanese e la vecchia parrocchia, che contava in Gorla della chiesetta di S. Bartolomeo, avrebbe avuto bisogno di una chiesa più capiente.
La decisione sfociò nei lavori iniziati nel gennaio 1925 ed ultimati il 19 dicembre 1927 pronta per accogliere la celebrazione del successivo Natale. Il tempio “costruito con estrema pia attenzione dedicato a Santa Teresa del Bambino Gesù” accolse al suo interno una statua lignea della santa.
Tale dedicazione è dovuta alle volontà di don Paolo Locatelli che, in qualità di parroco, si rivolse alla santa in occasione di una malattia che lo colse a da cui guarì nel corso dei lavori di costruzione.
La consacrazione a seguito della costituzione come Chiesa Parrocchiale per il territorio di Gorla Primo avvenne il 6 marzo 1931 ad opera del Cardinale Ildefonso Schuster.
Su disegni dell’ing. Guglielmo Pedrazzini il nuovo tempio aveva e mantiene una semplicità disarmante senza nulla concedere alla carica evocativa dell’architettura aulica.
Le linee semplici, contenute in una dimensione di mt. 42 per 17, sono costituite da una struttura in cemento armato a capanna che consente una organizzazione dello spazio molto efficiente. E’ priva di campanile ed è arricchita da una croce posta sulla parte anteriore del culmine del tetto.
Il grosso contenitore non offre molti spunti architettonici né ospita opere artistiche prestigiose (anche se di pregevole fattura), ma lascia tutto alla nuda essenzialità delle sue forme che contano poche finestre e nessuna colonna.
La facciata, incompleta, è scandita da tre grossi volumi incorniciati da finti archi a tutto sesto all’interno dei quali sono ritagliate le tre porte d’ingresso a trave lineare sormontate da altrettante finestre rettangolari con arco a tutto sesto.
Saliti i pochi gradini ed attraversato il sagrato, si accede al tempio che evidenzia l’effetto capanna assicurato dall’ampiezza dello spazio racchiuso e dall’intimità originata dalla mancanza di luce che, indirettamente, penetra attraverso finestre poste sulla parte alta di alte pareti laterali.
La carica religiosa è giocata tutta sulla ripresa dei simboli cristiani che ritroviamo all’interno.

Alzando lo sguardo appaiono subito le sette possenti travi in cemento armato a sostegno della copertura a tetto spiovente, le loro dimensioni annullano il temuto effetto divaricatore dovuto all’inclinazione delle falde del tetto ed azzerano la necessità di navate laterali a sostegno.
Le travi sagomate a tutto sesto accompagnano gli occhi del visitatore verso l’altare centrale e l’abside che lo contiene.
Gli affreschi, opera del pittore Antonio Martinotti della scuola di pittura del “Beato Angelico”, mostrano tutta la simbologia religiosa cristiana che, secondo le esortazioni della “Bibbia pauperum” (Bibbia dei poveri) di S. Agostino, dovevano servire per permettere a quelli che non sapevano leggere d’interpretare e capire i significati ideali del cristianesimo comunque sintetizzati da tre scritte in latino.
Partendo dall’alto e dal centro, nove teste di angeli circondano la figura del Padre da cui scaturisce il creato esplicitato da due archi terminanti nella terra ed il sole. Il capo è arricchito da un triangolo simbolo della successiva trinità. Le braccia sono tese ed alzate con le palme delle mani rivolte all’osservatore ed a completamento della figura, dalla fine della lunga barba, una colomba spicca il volo verso la figura successiva: il Cristo.
E’ una figura del Padre che presenta ancora caratteristiche giovanili (tutta la figura esprime il vigore ed in particolare capelli e barba fluenti ma scure, oltre ai lineamenti del viso e delle mani prive di segni del tempo) sono evidenti le caratteristiche dell’”eterno”, del “creatore” ma anche quelle dell’ “elargitore” dei beni creati: quelle palme delle mani rivolte ai fedeli.
La colomba, simbolo dello Spirito Santo, in volo verso il Cristo completa la volontà di benevolenza verso il basso.
Sul grande arco che racchiude il catino absidale sono raffigurati i “24 Vegliardi” della visione apocalittica. Essi rappresentano la Chiesa ideale nella sua totalità, il loro ufficio sacerdotale è quello di offrire le preghiere dei cristiani unitamente a doni. Sono rappresentate tutte eguali per evitare classifiche, in posizione orante, di rispetto ed omaggio (sollevano dei doni). Unico segno distintivo, poco visibile dal visitatore, sono i nomi dipinti ai piedi di ognuno dei 24 a ricordo di alcuni benefattori che hanno concorso alla costruzione dell’edificio.
Tutti i personaggi sino ad ora descritti sono rappresentati contorniati da nuvole: segno evidente della loro collocazione fisico/spirituale e cioè “nel regno dei cieli”.
Il tutto è sancito dalla scritta “Dignus es Domine Deus Noster Accipere Gloriam Honorem et Virtutem” (Tu sei degno o Signore di ricevere gloria onore e virtù).
Ma la figura che artisticamente emerge è quella del “Cristo”.
A Lui si arriva, scendendo con lo sguardo, attraversando un semicerchio di 7 colombe o sette sigilli che vengono aperti per rivelare la direzione ed il significato della vita dell’uomo.
Si entra così in una atmosfera sempre più artisticamente luminosa la cui fonte di luce produce un arcobaleno a simbolo dell’alleanza fra Dio ed il suo popolo.
E si arriva a Gesù coronato da una aureola che riporta un segno a croce ed incoronato come un re.
E’ severamente seduto, senza che lo scranno appaia, avvolto in una veste chiaramente regale ma senza preziosismi e con la sua mano destra regge in equilibrio un libro aperto appoggiato sul ginocchio con la scritta “Ego sum via veritas et vita” (Io sono la via la verità e la vita).
La sua mano sinistra completa la figura reggendo saldamente uno scettro in una posa geometricamente verticale: senza alcuna inclinazione ad altri poteri.
La sua presenza fisica è ancora più giovanile di quella del Padre ma sembrerebbe più austera.
Dai suoi piedi sgorgano abbondanti flussi di acque, in cui nuotano dei pesci, che spargendosi a semicerchio vanno a bagnare una terra su cui crescono fiori.
L’ispirazione del pittore si rifà forse alle antiche basiliche romane in cui dal Cristo scaturivano le acque rivelatrici, purificatrici che donano vita ai pesci (simbolo dei cristiani) che le abitano e a tutti gli esseri che dalla terra bagnata traggono nutrimento.
Il Cristo è immerso in un ambiente celeste identificato dalle nuvole, le stesse che circondano il Padre, ma con un tangibile contatto fisico con acque e terre del creato tipico degli esseri viventi, esseri umani compresi.
Gesù è attorniato dai quattro simboli dei quattro Evangelisti, anch’essi immersi nel complesso di nuvole ed a stretto contatto con il trono quindi con il Cristo.
In essi riconosciamo: il leone che rappresenta Marco, il vitello simbolo di Luca, l’angelo a ricordo di Matteo e l’aquila di Giovanni. Le loro icone derivano dai rispettivi inizi dei loro vangeli.
Sulla terra bagnata dalle acque appoggiano saldamente i piedi quattro figure umane contornati da piante fiorite.
Partendo dalla sinistra di chi guarda: San Francesco con il tipico saio, San Bartolomeo con il coltello alzato a ricordo del suo martirio attraverso la scorticazione, per proseguire oltre con Santa Teresa del Bambin Gesù che sparge fiori e per finire con Santa Caterina da Siena che, dottore della Chiesa, regge in mano un libro.
Agli estremi i due patroni d’Italia agli interni i due patroni rispettivamente della vecchia chiesa di Gorla e di quella nuova.
Ancora una iscrizione in latino conferma la presenza del Cristo in qualità di “Rex regum et Dominus dominantium” Re dei re e Signore dei Signori.
Tutto è rappresentato in una visione trionfale: forse l’epoca della realizzazione lo richiedeva.
Nello scenario sin qui descritto i personaggi rappresentati si pongono infatti in una veste trionfale cioè in quella che dovrebbe essere la situazione di gloriosa adorazione. Non traspare il passaggio doloroso della “redenzione attraverso la croce”, salvo un accenno all’aureola del Cristo, né un coinvolgimento della Madonna e San Giuseppe.
Per quanto riguarda il sacrificio esso viene richiamato da due dei tre dipinti posti più in basso sulle pareti dell’abside.
Il primo a sinistra rappresenta Abramo che, su richiesta di Dio per comprovarne la fedeltà, si appresta a sacrificare il figlio Isacco sul monte Moriah. Nel dipinto il coltello impugnato da un Abramo diligente e determinato a compiere quanto ordinato, domina un volto di Isacco che prega in un atteggiamento di serena accettazione. La scena viene interrotta dall’intervento dell’angelo, prontamente (vedi scia) inviato da Dio, che sostituisce ad Isacco un ariete.
In quello centrale Abele è rappresentato affiancato ad un fuoco sacrificale. Simbolo di quel sacrificio apprezzato da Dio, più che di quello di Caino, tale da scatenare un fratricidio dettato dall’invidia.
A destra Melchisedech (re del regno di Salem) ricordato come sacerdote dell’Altissimo che, in posa adorante, offre pane e vino in dono al Dio di fronte ad un altare spoglio e privo di altri ornamenti identificativi. Abramo, antenato degli Ebrei, rispettava Melchisedech come suo superiore.
Le tre scene dipinte che contengono tre altari portano alla presenza fisica dell’altare sottostante destinato al colloquio con i fedeli
Il complesso della parete absidale era completato da due nicchie affrescate a piano terra rispettivamente: in quella di sinistra era rappresentata la figura di Maria madre con lo sfondo di Eva progenitrice cacciata dal Paradiso terrestre (le due Eve), in quella di destra San Giuseppe in posa di proteggere con un grande mantello la Sacra famiglia.
Le due nicchie non sono più visibili in quanto gli affreschi sono stati ricoperti e cancellati.
Nel loro incavo sono state collocate rispettivamente in quella di sinistra una statua lignea di Maria nella funzione di presentatrice del Bambino con le braccine in posizione avvolgente e benevolente così come quelle in alto del “Padre”. In quella di destra S. Teresa che abbraccia un tronco di albero privo di rami e nodi ma ingentilito da un fiore quale rappresentazione della sua fede gentile, forte ed essenziale.

Completano le rappresentazioni due statue in legno poste su altarini a metà delle pareti laterali rappresentanti Sant’Antonio e Santa Rita.

Le vecchie alte finestre originali in vetri privi di rappresentazioni sono state sostituite nel 2014 da vetrate artistiche moderne. La principale, posta sulla facciata in posizione centrale, riproduce il gesto di Santa Teresa nello spargere pietre preziose o fiori, a ripresa dell’atto descritto nell’abside.
La scena è rappresentata con una grande varietà di sfumature che vanno dal bianco all’azzurro al blu per finire con colori più caldi.
Le vetrate si susseguono nella loro alta posizione uscendo dalla parete centrale e proseguono lungo le due pareti laterali fino a raggiungere l’abside.
I vetri non portano rappresentazioni leggibili salvo la modifica graduale in termini di sfumature che dal predominante blu iniziale si trasformano gradualmente in colori sempre più caldi all’avvicinarsi dei personaggi rappresentati nell’abside. Si consiglia di osservarle col favore della luce del mattino.

L’altare fu realizzato in marmo bianco di Carrara ed ornato di mosaici e disegni a rilievo ripresi dalla simbologia greca, rina scimentale e celtica in termini di croci greche, archi rinascimentali a tutto tondo, disegni stilizzati di conchiglie, spighe di grano e gigli, compreso un tronino in marmo collocato sotto il tempietto. Quattro busti rappresentanti San Carlo, S. Ambrogio, S. Magno e S. Eustorgio finiscono la dotazione dell’altare. Particolare buffo: il naso di S. Carlo appare schiacciato segno di una caduta della statua. Sei candelabri in ottone dorato separano i busti.
Il pulpito anch’esso in marmo bianco originariamente posto su colonnine al sommo di una piccola scalinata sulla parete sinistra è stato successivamente collocato presso l’altare. Recita “chi osserverà il mio sermone non proverà la morte eterna”.
Monito e raccomandazione per chi parla e chi ascolta.
E’ offerto in nome delle sorelle Maria e Beatrice Lamperti.

All’interno della parete di ingresso figurano due quadri in vetro illuminati artificialmente in cui appaiono gli episodi dell’Annunciazione e della Natività. Eventi che nella storia procreatrice di ogni mamma si identificano in due momenti significativi: il concepimento ovvero la consapevolezza dell’inizio dell’attesa e la nascita della nuova creatura.

La via crucis composta dalle quattordici stazioni è stata integrata da una quindicesima sosta a rappresentazione della risurrezione.
Sulle pareti laterali fanno bella mostra sei arazzi di pregevole fattura.
Anche la fonte battesimale fa parte del progetto originale ed è protetta da una ben forgiata cancellata.

All’ingresso laterale di sinistra vi è una targa posta a ricordo di don Paolo Locatelli, le cui spoglie riposano nella chiesa, in qualità di primo parroco che molto si adoperò per l’edificazione della nuova chiesa di Santa Teresa.