LA MONGOLFIERA VA…

LA MONGOLFIERA VA…

                                      sulla seconda Terra Santa

 

Il buio copre come un velo ogni cosa. Tutto è informe. Profili lontani si intravvedono senza lasciar percepire il volto reale delle cose. La notte è quasi al termine ma il buio stenta a diradarsi: la luce come sposa luminosa si fa attendere. E l’attesa sembra non aver fine. All’improvviso un lampo, un bagliore accompagnato da un rumore secco e potente nel contempo: è fuoco, un grande spruzzo di fuoco che esce da una bocca scura e con il suo colore illumina, con la sua fiamma riscalda. E lì, dentro un cerchio di luce artificiale nel mezzo di una radura arida e polverosa, ci accorgiamo che lei cresce, si alza, silenziosa e maestosa, dandoci il benvenuto: la mongolfiera. Stupiti e sorpresi, una volta che ci ha ospitato a bordo, ci lasciamo portare dal suo ondeggiare silenzioso, in lungo e in largo, sullo spazio immenso della Cappadocia che contempliamo dall’alto, da molto in alto, fin dove cose e persone non si distinguono più e tutto si uniforma nella misteriosa terra. Le rocce di quella regione custodiscono la memoria dei primi cristiani e di tre grandi santi padri della chiesa: Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa. Se la chiesa è nata in Israele con la morte e risurrezione di Gesù e si è fortificata per il mistero della Pentecoste, essa ha preso forma e struttura nell’attuale Turchia che è chiamata, a ragion veduta, la seconda Terra Santa.

Dal cesto in cui voliamo ci raccontano che, più in fondo verso l’orizzonte appena percepibile, si trovano le cittadine mete del nostro peregrinare e che hanno avuto un posto inamovibile nella storia della Chiesa e della Bibbia: Efeso la cui comunità è stata destinataria delle lettere di S. Paolo e nella cui basilica si è celebrato il concilio del 431 che ha proclamato Maria come Madre di Dio; sempre a Efeso (Selcuk) si trova anche la casa di Maria e la tomba di S. Giovanni evangelista. Ierapoli, luogo del martiro e della sepoltura dell’apostolo Filippo; Laodicea, menzionata nel libro dell’ Apocalisse  per la sua fede tiepida e insapore (Ap 3,14-22) ; Antiochia di Pisidia nel cui tempio S. Paolo tenne un grande discorso sulla sua identità cristiana (At 13, 13-52); Konya dove sempre l’Apostolo delle genti venne lapidato e si salvò solo perché fu ritenuto già morto (At 14,1-28) e Istambul conosciuta nell’antichità come Costantinopoli, città di Concili ecumenici e agglomerato di popoli e culture.

La mongolfiera va lenta: si fa cullare dal calore della fiamma che di tanto in tanto si accende prepotentemente per poi smorzarsi di colpo e l’aria dello spazio, appena percepibile, l’avvolge e l’accompagna leggermente. Qualcuno vicino a me mentre siamo su in alto, per timore e tremore di precipitare, invoca una preghiera, anche se normalmente pregare non è sua abitudine: effetti miracolosi di un cesto sospeso a 800mt, attaccato a un pallone gonfiato con aria di fuoco!

Mentre osservo l’orizzonte con occhi stupiti, sono colto dall’elogio della lentezza. Che senso hanno vocaboli come attesa, pazienza, stupore, calma…. nel tempo attuale della velocità? Sono solo una perdita di tempo. Eppure mentre la tecnologia ci regala il tempo reale dell’informazione, la comodità, risultati istantanei di operazioni che sarebbero altrimenti dispendiose in termini di tempo e denaro, ci troviamo poi ancora di corsa, sempre di fretta, con i minuti contati e abbiamo la sensazione costante di essere in ritardo e in affanno. Spesso non sappiamo restare tranquilli dinanzi agli imprevisti e agiamo istintivamente burrascosi perché la calma e la pazienza non sono più virtù considerate pertinenti oggi. La velocità che per un verso è una conquista grandiosa e ci permette di fare tante cose in un arco ristretto di tempo, dall’altra è come se ci espropiasse del dono proprio del tempo: noi stessi, la nostra persona. Riempiamo il tempo di cose da fare quando il tempo più che riempito andrebbe accolto; più che aggredito andrebbe ascoltato; più che sfruttato andrebbe capito. La domanda, che non vuol essere per nulla retorica, è se noi veniamo considerati per quanto produciamo o per quello che siamo. Il confine di un quesito apparentemente così banale, in una società efficientistica e ad alta velocità, non è così nettamente dichiarato. Sembra opportuno, per convenienza o convinzione, lasciare che la risposta sia ibrida.

La mongolfiera va seguendo vie che l’aria disegna e chi la guida sa e conosce la brezza del mattino; gli apostoli e i padri della chiesa andarono a portare il Vangelo e la loro testimonianza di fede per sentieri che lo Spirito, di volta in volta, suggeriva al loro cuore; noi viviamo ogni giorno il tempo che ci è dato portando con impegno e perseveranza le nostre responsabilità.     In ogni caso la saggezza risiede nel custodire il tempo come la buona occasione per apprezzare la vita nostra e degli altri e non nel riempirlo voracemente come fosse un contenitore vuoto. Diceva a questo proposito il poeta filosofo libanese Khalil Gibran: “Le tartarughe potrebbero raccontare delle strade più di quanto non potrebbero le lepri”. Forse, dentro la misteriosa via della vita e accanto al miracolo delle persone, non sarebbe male muoversi a passo di tartaruga. La quantità di tempo da vivere, in fondo, non dipende da noi; ma il modo di viverlo, il più delle volte, si.

Intanto, dopo averci ospitato con pazienza facendoci assaporare un po’di cielo, la mongolfiera inizia la delicata fase di atterraggio che ci consegnerà nuovamente alle strade sature della terra.

Buon anno pastorale a tutti.

                                                                                                                                                                         don Adriano

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