UNA MANCIATA DI FARINA
………….dal fornaio di Betlemme
La notte non era gelida più del solito. La legna crepitava con ritmo costante tenendo il fuoco acceso quel tanto che era necessario per sentirne il tepore e per fare un minimo di luce in modo che potessero vedersi in volto. All’improvviso un bagliore che durò un’istante ruppe il loro silenzioso sostare, tra veglia e riposo, a custodia del gregge; lo smarrimento che dapprima li aveva assaliti per la comparsa di un individuo inatteso si trasformò in meraviglia e curiosità ascoltando le sue parole. Allora uno del gruppetto trovò il coraggio di lanciare l’invito “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2,15b). L’esortazione fu in realtà una voce comune, quasi che il viaggio fosse sconsigliato a viandanti solitari. O forse si volle solo rimarcare che la meta valeva proprio la pena di essere raggiunta: per questo la via fu resa accessibile a tutti quelli che vollero mettersi in cammino. L’importante era muoversi, non stare fermi, andare. Cosi fecero i pastori che, dopo una mezz’oretta di viaggio, giunsero alla “città di Davide”.
Betlemme, in ebraico, vuol dire: “casa del pane”. Fu la culla del Signore all’inizio; fu il suo testamento alla fine. Il latte, come pane, l’ha nutrito nella mangiatoia; con il pane dell’ultima cena, la sua vita, ha sfamato molti “Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo» (Mt 26,26).
L’invito ad andare a Betlemme con in cuore il desiderio di scorgere la sorpresa di Dio, questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere, si rinnova per noi, pastori moderni. E non fa niente se giungendo là si potrebbe rimanere delusi per l’assenza di novità: in fondo è nato un bambino, è solo questo il segno. Ma qualcosa ci dice, guardando bene, che proprio quelle fasce di debolezza in cui è avvolto e quella mangiatoia di povertà dove giace sono divenuti i simboli nuovi dell’onnipotenza di Dio. Dio si è fatto uomo nella “casa del pane” per farsi pane di fronte alla nostra fame di pace, di giustizia, di onestà, di fraternità. Dio ci ricorda che la supponenza di chi crede di poter fare a meno del pane è miope perché rende il passo sul sentiero incerto e vacillante. Un boccone di pane non lo si può rifiutare a nessuno; a volte è essenziale e necessario per sopravvivere. Farsi pane per l’altro, la persona che ci è accanto o l’uomo di strada che incrocia il nostro sguardo, è rimanere in cammino sulla via che ci conduce a Betlemme dove il Signore ci attende e ci aspetta: semplicemente per commuoverci con la tenerezza del suo amore. L’onnipotenza di Dio, ancora oggi, si rende visibile nelle fessure, quasi nascoste e scontate, dove passa la semplice e normale quotidianità fatta di strette di mano, di sorrisi, di incoraggiamenti, di abbracci consolatori, di pezzi di pane spezzato perché tutti ne possano assaporare almeno un boccone. Di generosità e bontà non siamo mai sazi, in fondo. Anzi è preziosa come pane per chi non ha da mangiare.
I pastori vanno a vedere il “di più” di Dio: un amore senza misura “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.” (2Cor 8,9). Dove non c’è amore l’esigenza del “di più” non c’è; dove c’è poco amore, il di più” è sempre scarso; dove c’è tanto amore tutto è “di più”, anche la propria vita. La sola cosa che rimane da fare, e che i pastori hanno contemplato nel bimbo di Dio adagiato nella mangiatoia, è farsi pane. Pane spezzato per molti, per tutti.
Il Natale di Gesù ci riporta a considerare questa prospettiva: la Betlemme del lieto annuncio è inscindibilmente legata alla Gerusalemme del grido filiale sulla croce e della sorprendente notizia pasquale. Il filo che lega quest’ avventura di salvezza è una manciata di farina. Essa, impastata con quanto di cuore noi riusciamo ad offrire ogni giorno, dalle mani di quel formidabile Fornaio che è Dio, diventa pane. Pane d’amore per sfamare tutta l’umanità; pane che ci ricorda che a Betlemme c’è sempre un bimbo che ci è stato donato, che ci chiama e ci aspetta per donare anche a noi la gioia di poterlo stringere tra le braccia e sentirlo buono, come pane di vita.
A tutti Voi, a nome dei sacerdoti
e delle religiose della Comunità, i migliori auguri di Buon Natale.
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don Adriano